Pupi Avati, prima con il suo romanzo “L’Alta Fantasia”
(2021), edito da Solferino, e poi con il film “Dante” (2022), uscito nelle sale italiane il 29 settembre con 01 Distribution e Rai Cinema, ha regalato al pubblico il suo omaggio a Dante. Sì, perché il film “Dante” non è, come forse molti si aspettavano, un semplice biopic del Padre della lingua italiana: si parte da un altro testo della “volgar lingua”, cioè Il Trattatello in laude di Dante (una delle prime biografie di Dante Alighieri) scritto da Giovanni Boccaccio. L’opera è stata rielaborata dall’autore di Certaldo tre volte, con altrettante pubblicazioni: alla vulgata, la parte principale del Trattatello, composta tra il 1351 e il 1355, succedettero infatti due compendi, pubblicati tra il 1360 e il 1366.
Il romanzo “L’Alta fantasia” e di conseguenza il film “Dante” partono proprio da qui, da Giovanni Boccaccio e la sua passione per Dante Alighieri. Siamo a Ravenna nel 1321: esiliato e ormai in rovina Dante esala l’ultimo respiro. Ben trent’anni dopo il primo fedele di Dante, Giovanni Boccaccio (interpretato da un sempre magistrale Sergio Castellitto), ha una missione da compiere: deve andare nel convento dove risiede la figlia di Dante divenuta monaca con il nome di Suor Beatrice, e consegnarle un risarcimento in denaro per il “doloroso” esilio subito dal padre, nel 1302 e confermato nel 1304. Con un chiaro riferimento alla Commedia dantesca inizia il viaggio di Boccaccio: un cammino intimo, umano e storico per rivivere i momenti più importanti della vita di Dante Alighieri, dalla fanciullezza e l’incontro con la “gentilissima” Beatrice, alla vita politica ricca di amarezza fino alla delusione dell’esilio perpetuo.
L’idea di Pupi Avati di non partire direttamente dalla vita di Dante, ma dalla visione di Boccaccio è stato il giusto modo per entrare in punta di piedi nella maestosa figura dell’Alighieri. Un autore che per troppi anni è rimasto chiuso nelle mura accademiche, perché “di pochi”, ma che invece è patrimonio di tutti gli italiani e della letteratura mondiale. Almeno questo doveva essere l’obiettivo del regista: regalare una nuova chiave di lettura fruibile al grande pubblico. Purtroppo il film, a differenza del romanzo, ha dei difetti che lo portano ad essere una “mancata occasione” per raccontare Dante.
Partiamo dai lati positivi: nel film si è completamente immersi nell’alta poesia di Dante, focalizzando il centro del racconto sull’amore del Poeta per Beatrice. È chiaro che Avati abbia svolto un importantissimo lavoro filologico sul giovanile testo dantesco, cioè la Vita Nova, regalando al pubblico tutta la bellezza e la delicatezza di un amore fatto di sguardi e pura potenza dei sentimenti. L’attore Alessandro Sperduti, nel ruolo di Dante, ha interpretato in modo eccellente le sensazioni vissute dal Padre della Lingua Italiana: lo stupore nell’aver ricevuto il saluto di Beatrice (interpretata da Carlotta Gamba), la rabbia di vedere la donna amata sin da bambino in sposa a un altro uomo, alla disperazione per la morte di lei e al terrore di vederla nelle sue visioni perché lontana ormai dal suo cuore. Proprio Beatrice è stata resa quasi “mortale” (dopotutto Dante nella Vita Nova non descrive mai fisicamente la sua donna, perciò il lettore la immagina nella sua “figura angelicata”): quell’aurea divina cantata da Dante nella sua poesia è perfettamente espressa nei profondi e lunghi sguardi di Beatrice che non solo fanno tremare il cuore di Dante, ma lasciano una sensazione di soggezione non appartenente al mondo umano. Emozionante è stato ascoltare le parole auliche di Dante e poter vedere i momenti in cui sono state composte alcune delle sue poesie eterne.
Pupi Avati voleva mostrare un Dante lontano dall’ingombrante ruolo di auctor che abbiamo conosciuto tutti fra i banchi di scuola: nel film si racconta la gioventù di un ragazzo che viveva di passione, fervore letterario e politico. Quei nobili valori fondamentali nella cultura medievale che condurranno il giovane Dante a intraprendere un cammino periglioso, alla ricerca di quella felicità che nella vita terrena gli è stata negata, ma che è giunta grazie alla sua Commedia con la gloria letteraria (tanto bramata fino al suo ultimo giorno).
Tanta è la poesia all’interno del film, tanto però l’opera di Avati pecca di qualche incoerenza dal punto di vista narrativo, allontanando proprio lo scopo finale di far conoscere un “nuovo Dante”. Dal punto di vista narrativo il film ha l’impostazione episodica del romanzo: si alterna il viaggio di Giovanni Boccaccio ai flashback narrativi dedicati al Dante bambino, al suo amore per Beatrice fino alla vita politica e all’esilio. Questa scelta non permette di vivere appieno le sensazioni vissute dai due protagonisti, perché non c’è una linearità narrativa (cosa che invece nel romanzo, con la divisione dei capitoli alternati dedicati rispettivamente a Boccaccio e Dante, è più semplice da seguire). Un altro problema del film credo che sia, sempre nel contesto della narrazione, il voler raccontare molto in poco tempo: in un’ora e mezza purtroppo molte questioni storiche sono sorvolate, come se per il pubblico fosse scontato conoscerle (per esempio il motivo della fine dell’amicizia fra Dante e Cavalcanti e la problematica questione politica fra Guelfi Bianchi e Neri). L’impressione è di aver dedicato questo film agli “addetti ai lavori”, cioè a studiosi o comunque appassionati della Storia Medievale e della vita di Dante.
Per concludere però è innegabile che il film “Dante” sia nato da ricerche approfondite durate anni (quasi una decina se non di più, come ha raccontato lo stesso Avati), ma purtroppo il progetto finale non ha realmente dato la possibilità di scoprire e vivere il “cammin della vita” del più grande autore di tutti i tempi.
Peccato, perché come rivela Giovanni Boccaccio alla figlia di Dante proprio nell’emozionante scena finale, molte persone devono a Dante “l’amore per la poesia”, e per questo il Sommo avrebbe meritato un miglior omaggio.